Bambini che mordono!

Asilo fa rima con MORSO!

A marzo, Alessandro inizierà a frequentare l‘asilo nido ed io sono già emozionata al pensiero di questo distacco.
Lo vivo con animo bivalente, anzi direi proprio bipolare, da un lato sono felice per lui, per questo suo nuovo inizio, per questo ulteriore passo verso l’autonomia, dall’altro sono triste perché so già che mi mancherà tantissimo anche se lo lascerò giusto per un paio d’ore.
Ormai avete imparato a conoscermi e sapete che sono una persona dalle emozioni contrastanti.

Pensando al nido e parlando con la Madre Regina di tutte le ansie (leggi mia madre) è venuto fuori lo spauracchio MORSO.
Il bambino che dopo due ore di socializzazione porta a casa un bell’orologio, ultimo modello, di dentini da latte sulla guancia o sul braccio, è un grande classico che genera sempre le stesse sensazioni: da un lato il genitore della “vittima”, arrabbiato, in ordine crescente, con le maestre che non hanno vigilato come si deve sull’incolumità del figlio, con il direttore dell’istituto per non aver controllato la competenze del personale docente, con i genitori del “piccolo cannibale” per non aver saputo educare il loro bambino al rispetto verso il prossimo, verso la società tutta ed anche verso l’ambiente, dai!
Dall’altro lato ci sono i genitori del “carnefice”, che vivono un forte senso di colpa, si sentono incapaci e mortificati ed iniziano a pensare ed attuare metodi di dissuasione inutili e troppo severi.

Ma perché un bambino morde? E’ un comportamento preoccupante? Come bisogna agire in questi casi?
Tanti (non tutti) bambini mordono, e non tutti lo fanno con la stessa intensità e frequenza.
Entro l’anno di età mordere è un modo per conoscere, per esplorare, per capire; infatti a partire dai 6/8 mesi di vita, un bambino tende a portare tutto alla bocca, assaggiare anche i propri coetanei è il modo più naturale che i piccoli hanno per familiarizzare con ciò che non conoscono.
Dopo l’anno mordere diventa un modo per comunicare con l’altro, per esprimere: “lasciami stare”, “dammi quell’oggetto, è mio”, “non darmi fastidio”.
Più il bambino cresce e più il morso viene utilizzato quando c’è disagio, insoddisfazione, frustrazione.
E’ solo dopo i 2-3 anni, però, che diventa un modo per esprimere consapevolmente e deliberatamente le proprie emozioni negative ed intimidire i coetanei.

Dinanzi al morso, ogni adulto ha un sussulto, assume un’aria preoccupata ed ansiosa, ha una paura eccessiva rispetto al dolore che può provocare in chi lo riceve e fa fatica a considerare questo atto come una delle tante manifestazioni fisiche del rapporto tra pari.
Questo accade perché si tende a dare al morso un significato collegato all’esperienza adulta: una persona “normale” non morderebbe certo un suo simile; o ancora l’adulto abbina il morso a qualcosa di traumatico, come l’aggressione di un animale feroce.
Si tratta di inquinamenti che non permettono di dare il giusto peso a queste esternazioni da parte di un bambino.

Il brusco rimprovero, il restituire il morso per far capire al bambino il dolore che si prova, lasciarsi mordere dal proprio figlio (quindi mandare il messaggio che sia un gioco) o, al contrario, “mangiucchiare” i cosciotti del bimbo, metterlo in castigo sono tutte cose inutili e che andrebbero evitate perché prive di una funzione educativa.
Bisognerebbe, invece, cercare e trovare coesione tra gli adulti che trascorrono molto tempo con il bambino (genitori, educatori, nonni, baby sitter), tutti devono mandare lo stesso messaggio: se una cosa non si fa, non si fa MAI e con NESSUNO.
E’ fondamentale che il bambino percepisca coerenza dal mondo adulto.
E’ giusto interrompere il morso, con un netto “NO”, non è necessario alzare la voce ed avere un atteggiamento aggressivo, la paura è un sentimento che reprime il bambino, il quale tenderà a non fare qualcosa non perché abbia davvero capito il disvalore del suo comportamento.
Fermezza e dolcezza possono (e devono) andare a braccetto soprattutto quando il nostro compito è quello di educare.
Non mostriamoci preoccupati, sdrammatizziamo la situazione e non ridicolizziamo alcuna espressione emotiva del bambino.
Se il piccolo ha meno di 2 anni ed è nella fase in cui porta tutto alla bocca, forniamogli oggetti da mordere: anelli in plastica, giochi per dentizione…
Se, invece, ha superato i 2 anni è giusto dare regole precise, che devono passare attraverso il dialogo.
Spiegate, parlate e cercate il ragionamento, non fermatevi al “Non devi mordere, perché non si fa e te lo dico io!”

Infine, ricordiamo che il mordere è un’attività fisiologica per i piccoli, ma possono esserci casi in cui il bambino esprime un disagio forte e che va attenzionato.
Dopo i 24/30 mesi mordere con frequenza, intensità e senza un motivo apparente può essere un campanello d’allarme, un modo per attirare l’attenzione, per esprimere un disagio verso un cambiamento (un trasloco, la nascita di un fratello, la separazione dei genitori) o verso un atteggiamento troppo rigido da parte dei genitori.

Attualmente, Alessandro pur non andando al nido, ha già ricevuto il suo primo morso e, a dire la verità, un po’ se l’è meritato visto che disturbava continuamente un bimbo il quale dopo aver cercato di sopportarlo, ha reagito.
Tellino che ha una naturale propensione alla teatralità ha pianto disperatamente ed io con un bel sorriso stampato sulla bocca, ho cercato di calmarlo e di spiegargli che era stato solo un “regolamento di conti” tra simili!

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